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Pensieri a voce alta

Come stare vicino a chi soffre

“Come faccio a convincere qualcuno a venire in seduta? Ne ha tanto bisogno..”

Non si può. 

Fine dell’articolo.

…anzi, è il caso che mi spieghi meglio. 

Vedere una persona che soffre è doloroso anche per chi gli sta vicino. 

In psicologia e medicina queste persone hanno un nome specifico: i caregiver.

Il caregiver è colui che supporta e affianca qualcun altro quando ne ha bisogno. 
È un ruolo informale, non professionale. 

Un esempio? I figli che accudiscono il genitore anziano. 
Infatti, spesso il caregiver è un familiare. 

Sono le persone che, quando vengono da me, mi rivolgono la classica domanda sul come convincere qualcuno a fissare un appuntamento. 
Mi chiedono strategie, cosa dire o come comportarsi, perché sanno che la cosa migliore sarebbe rivolgersi a un professionista. 

Sono coinvolti, ma hanno un’idea chiara delle possibili soluzioni. 

Il problema nasce quando si scontrano con la persona che vogliono aiutare.

Anche se è la cosa giusta da fare, non si può convincere qualcuno a iniziare un percorso se non lo vuole.

Lavorare su sé stessi e i propri problemi è così impegnativo che la motivazione dev’essere interna, deve partire da ciò che sentiamo, e non può essere una pressione dall’esterno. 

Ciò che si può fare quando vediamo qualcuno soffrire e pensiamo che gli serva aiuto, è suggerire un percorso con un professionista.
Se l’argomento non è mai stato affrontato prima, potrebbe essere una soluzione che non ha considerato. 

Proporlo potrebbe anche fargli arrivare il messaggio che prendiamo seriamente in considerazione il suo malessere e non lo stiamo sottovalutando, anzi gli siamo vicini. 

Vuol dire farlo sentire riconosciuto nel suo dolore. 

Però, è una questione di sensibilità. 

Insistere e imporsi perché qualcuno inizi un percorso quando non ha espresso la volontà di farlo è una violenza. 

I motivi per cui non vuole possono essere molti: non pensa che il suo problema sia così grave, crede di farcela da solo, non ha fiducia nel metodo, non vuole pensarci, non è pronto.
E sono tutti legittimi. 

Fare delle sedute vuol dire affidarsi e accettare di cambiare, nonostante dolore e paura. 
A volte neanche chi decide di farlo di sua spontanea volontà ci riesce, figuriamoci chi è stato costretto. 

Quindi, se anche dopo averlo suggerito rifiuta, il discorso si chiude lì e dobbiamo accettarlo. 
Ogni persona è responsabile della sua vita e delle sue decisioni, non spetta a noi salvarla. Anche quando capiamo meglio di lei qual è il suo bene. 

Se invece insistiamo, forse stiamo anteponendo le nostre esigenze alle sue. 
E in ogni caso il percorso con il professionista non funzionerà perché sarà affrontato per il motivo sbagliato. 

Chi inizia un cambiamento così radicale deve farlo perché lo vuole davvero, non per far contenti gli altri. Altrimenti sarà solo più frustrante per tutti quando i risultati non saranno quelli attesi. 

Allora cosa può fare il caregiver?

Può ascoltare un po’ di più sé stesso. 

Può pensare a come sta e alle sue necessità.

Può chiedersi quali esigenze non ascoltate lo spingono a voler decidere per gli altri. 

Per prendersi cura di qualcuno, bisogna prima aver cura di sé, altrimenti non lo si fa bene. 
Le due cose non si escludono a vicenda, anzi. 

Non basta fare del bene, bisogna anche farlo bene. 

Se la situazione è troppo difficile da gestire, il caregiver può sempre rivolgersi a un professionista. 
Le sedute non le fa solo chi ha problemi, ma anche chi sta affrontando delle difficoltà e ha bisogno di supporto. 

Se ti trovi in questa situazione, scrivimi qui.

About Author

Sono dottoressa in Psicologia clinica specializzata in gestione emotiva e dialogo con l'inconscio. Svolgo sedute private e corsi di formazione online.