Mettiamo che ci sia una persona che ti fa soffrire.
E mettiamo che questa sofferenza sia così tanta che non ne puoi più.
Così, per salvarti, crei uno strappo.
Vuoi che quella persona non ti provochi più reazioni ed emozioni che hai già provato, vuoi che non abbia più potenziale su di te.
Lo strappo, infatti, avviene tra la persona e le tue emozioni: ora non c’è più spazio per quel coinvolgimento emotivo, vuoi allontanarti da tutto e farti la tua vita in pace.
Questa è una fase molto delicata e, se le cose non vengono fatte bene, può portare a dei guai seri.
Ci sono due possibili scenari da questo punto della storia in poi.
Il primo porta a una risoluzione positiva.
Lo strappo non è avvenuto in modo traumatico e improvviso, ma è stato una sana conseguenza della relazione in cui eri. Hai chiuso quella porta con consapevolezza, tenendo a mente le responsabilità di ognuno.
Sei sempre al tuo fianco, anche ora, e ti prendi il giusto tempo per elaborare quello che è successo.
Sai che è stata la decisione migliore.
A lungo andare, non covi rancore per l’altra persona, non credi che avresti dovuto agire in maniera diversa e rimani della tua idea. Non hai rimorsi o rimpianti.
Il secondo scenario è l’anticamera dell’inferno.
Nel tentativo di salvarti, hai inconsciamente creato una lacerazione così profonda tra quella persona e le tue emozioni che, quando provi del dolore, non ne capisci la causa.
Questo è un meccanismo di difesa iniziale che alla lunga provoca un sacco di danni.
Come funziona?
Non volendo più pensare alla persona, indirizzi nella direzione sbagliata le emozioni che provi per la relazione finita male.
Non pensi che nascano a causa di quegli eventi, li vuoi semplicemente rimuovere dalla tua vita.
Il dolore è così insopportabile che non ci vuoi pensare.
Il problema è che questo dolore c’è ed è ancora molto forte.
Mi riferisco alla sofferenza che vivi per come è finita, ma anche per le incomprensioni, le litigate e tutto il resto.
Se si è arrivati a questo strappo, ci sono tante cose che non sono state riprese in mano ed elaborate. Succedevano e si andava avanti comunque.
Così il dolore, non avendo più un bersaglio esterno su cui sfogarsi, diventa parte di te.
Com’è possibile che tu stia ancora e sempre così male?
Ora non hai motivo di sentirti così, quindi dev’essere una tua caratteristica.
Inizi a pensare che stai male per colpa tua, non per cause esterne.
Perché sei sbagliato, sei fatto male, sei incapace di gestire le situazioni,… e tanti altri pensieri nocivi che riversiamo su noi stessi.
Vedere noi stessi come causa del nostro dolore ci fa sentire incapaci.
Ai nostri occhi diventiamo il problema e non ci possiamo più fidare di ciò che proviamo o pensiamo.
Allora sorgono i dubbi.
Forse avremmo dovuto comportarci diversamente.
Forse abbiamo fatto delle cose che non avremmo dovuto fare.
Forse non abbiamo fatto abbastanza.
E cosa succederà la prossima volta? Quando ci saranno delle difficoltà?
Non saremo capaci di affrontarle.
Dubitare di noi stessi è uno dei torti più grandi che facciamo nei nostri confronti.
Qui il problema non è più la relazione andata male, ma la ripercussione che ha avuto sulla nostra idea di noi stessi.
Per questo bisogna tirare i fili nella direzione contraria: adesso stai male perché è successo l’evento x che all’epoca hai rimosso per salvarti.
Il dolore è una conseguenza, non è parte di ciò che sei.
Bisogna rileggere il passato con altri occhi, trovare le cause di questa sofferenza e perdonarsi per quello che è successo.
Dobbiamo diventare la soluzione, non essere il problema.
Dare un senso al dolore, capire che non è un tratto fondante della tua persona e non fa parte del tuo destino, è un processo salvifico che può ridare la vita.
E questo, in estrema sintesi, è quello che si fa durante le sedute.
Se senti la necessità di iniziare questo processo, puoi scrivermi qui perché mi occupo proprio di questo.
