Il primo passo per non essere succube di un’emozione è validarla.
Significa prenderne atto ancora prima di sapere esattamente di cosa si tratta e da cosa è causata.
Quando sentiamo l’emozione salire e il nostro umore cambiare, non giriamoci dall’altra parte e non facciamo finta di niente.
Dobbiamo abituarci a dare dignità al nostro lato emotivo, esattamente come ascoltiamo i nostri pensieri.
Siamo abituati a considerarli, hanno un valore scontato ai nostri occhi.
Li lasciamo fluire e, in caso, solo dopo li bocciamo perché “pessime idee”, a cui non dare credito e da non alimentare.
Le emozioni spesso non hanno questo privilegio.
Non le vogliamo, siamo occupati, e quella tensione è scomoda.
Così, ancora prima di capire cosa succede, le nascondiamo alla nostra consapevolezza ignorandole.
Come se bastasse il tempo a sgonfiarle, a farle passare.
Siamo ingenui e volontariamente ciechi.
La conseguenza di questo comportamento è che la nostra emotività lievita, muta, diventa feroce… e ritorna.
Poi, ci troviamo in balia di situazioni e persone, e non ne capiamo il motivo.
Come siamo arrivati fin qui?
Ignorando le cose importanti.
Il primo passo per non essere succube di un’emozione è validarla.
Vediamo i passaggi.
Cosa succede?
Senti tensione, confusione… e così via.
È un dato di fatto, che ti piaccia o no.
A questo punto possiamo aggiungere una valenza e un lessico allo stato d’animo.
Possiamo dargli un nome, e qui entra in campo la logica.
È una tensione positiva o negativa?
Ti fa sentire a disagio?
Ma soprattutto, come chiameresti l’emozione che senti?
Dobbiamo essere davvero onesti con noi stessi e decidere di non girarci più dall’altra parte quando proviamo qualcosa.
Bisogna voler capire cos’è.
Bisogna accettare di essere responsabili della propria emotività.
Bisogna voler conoscersi davvero.
Tutte cose che non sono facili da fare, ma sono indispensabili se si vuole stare bene.
Non ci sono scorciatoie.
Così, quando nella nostra testa ci saranno delle parole che definiscono l’emozione, sarà più facile “portarla fuori”, cioè parlarne agli altri.
Questo è un importante punto di svolta che ho analizzato anche qui.
Associare un lessico a ciò che proviamo ci permette di essere coscienti delle nostre emozioni, di delinearne i bordi e soprattutto di poter intavolare delle conversazioni su di esse.
Per esempio, se ne può discutere con il partner per valutare l’andamento della relazione.
Oppure, si può avere conforto sfogandosi con gli amici quando ne sentiamo la necessità.
Una volta che sappiamo cosa proviamo e che emozione è, possiamo decidere con chi condividerla, cosa farcene, se vale la pena capirne le cause o se era solo una situazione momentanea.
Possiamo decidere noi.
Questa è la differenza con chi ignora le proprie emozioni.
Lui non decide nulla.
Noi, invece, possiamo anche decidere di chiedere aiuto se vediamo che un’emozione negativa diventa sempre più intensa e frequente.
Perché abbiamo le parole per parlarne.
Se sei in questa situazione, scrivimi qui.
Parliamo per capire cosa c’è che non va.
P.S. Ricapitoliamo.
Per mettere in pratica ciò che hai letto nell’articolo, poniti queste domande:
- C’è qualche ambito/situazione/persona che mi crea agitazione?
- È un’agitazione positiva o negativa? Come mi fa sentire?
- Quali emozioni provo quando ci penso?
- Sono emozioni che posso gestire oppure sono loro a gestire me?
- Sento il bisogno di parlarne con qualcuno?
Ricorda che identificare e dare un nome a ciò che provi, aiuta a metterlo a fuoco e a ridurlo.
