Qual è la differenza tra empatia e sensibilità?
E come comportarsi quando sono eccessive?
Sento dire spesso dalle persone “sono troppo empatico” quando, messe davanti al dolore degli altri, ne vengono sopraffatte.
Mi dicono di non riuscire ad avere il giusto distacco per poter far valere i propri diritti, far sentire la propria voce o per riuscire a mettere dei limiti nelle relazioni.
Se qualcuno dice loro come si sente e cosa prova, si concentrano solo su quello dimenticandosi di sé stesse.
Tanto da tralasciare le proprie esigenze personali e sentirsi in colpa quando fanno soffrire qualcuno.
Empatizzano troppo anche con i personaggi di libri e film, fondendo finzione e realtà.
Ma si tratta davvero di empatia?
La parola “empatia” deriva dal greco ἐν (en) cioè “dentro”, e dalla radice παθ- (path-) che indica sofferenza, dolore o il provare qualcosa.
Da qui deriva anche la parola pathos.
L’empatia, quindi, è la capacità di sentire dentro di sé lo stato d’animo e la condizione altrui, di comprendere velocemente l’altro.
Cosa poi facciamo di questa comprensione, dipende da noi.
Il fatto di capire al volo la persona che ci sta davanti, non implica essere travolti dalla sua emozione.
Anche il sadico ha una certa empatia, altrimenti non potrebbe cogliere il dolore dell’altro, godendone.
Ciò che permette al vissuto altrui di travolgerci è la nostra sensibilità.
Essere sensibili vuol dire rimanere scottati dagli stimoli che ci arrivano.
Come succede alla pelle.
Vuol dire provare piacere o dolore dalle sensazioni che riceviamo, che le altre persone spesso neanche riescono a cogliere.
Quindi, l’empatia ha a che vedere con la comprensione, la sensibilità con la nostra reazione a essa.
Essere empatici può essere un gran punto di forza perché la comprensione consente di capire come intervenire, di cogliere le sfumature e di conoscere l’altra persona a fondo.
Senza empatia rischieremmo di essere inopportuni e di far del male.
Io, per esempio, senza empatia non potrei fare questo lavoro.
Un’eccessiva sensibilità, invece, è compromettente.
Se rimaniamo sempre colpiti da ciò che succede agli altri, questo eccesso di emozione ci toglie lucidità di pensiero.
Facciamo un esempio.
Una persona molto sensibile sta soffrendo a causa di un errore commesso da qualcuno, e glielo fa presente.
L’altro risponde spiegando il suo punto di vista e come si è sentito, giustificando in qualche maniera il suo comportamento.
Cosa succede a questo punto?
A causa della sua sensibilità, la persona che ha introdotto l’argomento si allineerà con i sentimenti altrui, trascurerà le proprie necessità e, magari, si sentirà in colpa per averne parlato.
Chi è molto sensibile rischia di trascurare sé stesso per concentrarsi solo sulle esigenze altrui.
É difficile mantenere la fermezza e far valere i propri diritti se si pensa sempre a come stanno gli altri.
Alla lunga, questo può portare a una sofferenza enorme per chi è sensibile.
Anche perché gli altri non hanno la stessa attenzione che ha lui e lo feriranno, più o meno volontariamente.
In conclusione, su cosa possiamo agire noi?
Sulla nostra sensibilità.
Gli stimoli esterni ci “toccano” meno se abbiamo un buon rapporto con le nostre emozioni.
Se sappiamo maneggiarle, se abbiamo risolto i nostri conflitti interiori e se conosciamo le strategie da mettere in atto quando qualcosa ci coinvolge troppo.
Sono tutte capacità che si possono ottenere e allenare.
Se sei tu la persona troppo sensibile, possiamo lavorarci in seduta in modo che il mondo esterno non ti colpisca più così tanto. Tutte le info qui.
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